20.11.08

Montecarlo


La nazionale polacca di calcio, o russa, o una cosa molto simile, aveva deciso di giocare una partita non so di che genere proprio il giorno in cui noi avevamo deciso di andare a Montecarlo, ma questo, quel giorno di fine agosto, lo scoprimmo soltanto alla coda per i biglietti del treno, davanti a bandiere, sciarpe bianche e blu e chiasso alcoolico.
Io di quel giorno ricordo tutto.
Ricordo che mi ero messa i pantaloni neri e la maglietta bianca, e forse proprio perchè furono lì, a Montecarlo, con me, poi li dimenticai in quella casa, nella stanza che dava sul mare, dove dormivo.
Quei pantaloni neri e quella maglietta bianca non sono ancora tornati dentro la mia stanza, dal giorno in cui li indossai a Montecarlo.
Alle otto eravamo svegli, ma io ero sveglia già da tempo, più o meno dalle cinque, a fissare un cellulare non mio, spento, sul grosso tavolo del salotto.
Gli occhiali da sole non erano un vezzo, ma una necessità assoluta, e non certo perchè battesse il sole..che,per altro, non sembrava essere mai stato così luminoso e grande sopra le nostre teste.
Anche lui portava gli occhiali da sole: eravamo gli unici della compagnia, e ognuno schermava con quelli i suoi sogni, che correvano lontano, in luoghi diametralmente opposti.
Di Montecarlo ricordo la fila per comprare i biglietti del treno, e finalmente toccare il suolo del Principato. La sua polo bianca col contorno nero del colletto, che era l'unica cosa che riuscivo a guardare, perchè quando si girava io abbassavo lo sguardo, di quel poco che serviva.
Io di Montecarlo mi ricordo il silenzio che mi eccheggiava tra le orecchie, la febbre che mi aveva colpito l'anima e che aveva colpito il suo corpo.
In quel posto la telefonia mobile italiana non funziona: e così mi illusi che avrei avuto una tregua, mentre mi sentii pure peggio, isolata, e l'unica persona con cui scambiai due provvidi messaggi fu lui (sempre sia lodato).
C'era l'orangina, che adoro.
"Ne vuoi un po'?"
"No, non mi piace, ho preso l'acqua"
Naturale, ovviamente.
A Montecarlo c'è la curva del gran premio, e c'erano i miei piedi stanchi, e la mia mente stanca, e il cuore gonfio dell'oro del sole e dei palazzi che stava per scoppiare.
Lì i panini costano un euro ogni mezzo metro, ma il mio stomaco si rifiutava di mangiare, e mi limitai a guardare la sua nuca, e a rimettere l'involucro di tovagliolini e cibo nella borsa.
A Montecarlo c'è il Casinò.
E la sua faccia esaltata come quella di un bambino, e io e lui seduti a delle strane macchinette, e il suo racconto di Las Vegas. Là sì, che faceva sul serio.
Montecarlo per lui era una copia sbiadita, con una compagna non desiderata, lontano dalle cose che amava.
Montecarlo per me era il purgatorio, una serie di scalini bianchi per tutta la città, un metaforico inginocchiarsi a ogni passo per chiedere perdono dei peccati, e soprattutto per chiedere perchè, perchè, perchè.
Perchè camminare sotto il sole alle due di pomeriggio, perchè tutta quella sofferenza, perchè facevano i panini così grandi, perchè mi si stringeva il cuore a guardare i suoi occhi lucidi e la fronte imperlata di sudore, a non aspettarlo quando per la troppa debolezza ci camminava dieci passi dietro.
"E' sempre stato il più lento".
Solo io vedevo che stava male? O forse solo a me interessava fargli vedere che avrei potuto fare qualcosa, e magari, dopo tutto quel salire, avremmo potuto riposare un po' insieme.
Ma Montecarlo era la sua sala giochi, e io lo guardavo come da dietro una vetrina, nel silenzio assoluto che si era fatto nella mia testa, completamente isolata dal mondo e accecata da un sole arrogante, irriverente e leonino solo quanto lui.
C'è una foto. Che poi è esattamente come quella che vedete.
Ma in mezzo c'è la sua figura, e il sorriso aperto e dolce e stupito di sempre.
Io lo so, anche se non guardavo. Il palazzo con le sue bandiere sembrava quello di Alice nel paese delle Meraviglie, io avevo la nausea, fame, caldo tutto nello stesso tempo, e mi chiedevo come potessi essere ancora viva dopo ore di inferno.
Però mi ricordo le fontane, e le fiches, ricordo le voci dolci e gli occhiali grandi, di marca, una porche che ci è sfilata davanti e la sensazione che lui, lì in mezzo, fosse esattamente dove è destinato a stare.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Bradbury te lo consiglio veramente tutto, a cominciare dalle raccolte di racconti, poi Fahreneit 451, e via così proseguendo...