6.1.08

Lettera

Caro Carlo Emilio,
se permetti, stavolta scrivo io.
Sono sicura che permetterai.
E' che sento il bisogno di spiegarmi, di interpellarti, di capirti...ma tra noi, le cose non sono mai andate troppo bene...e forse è adesso, che il tuo nome circola ancora, per l'ennesima volta, in questa stanza, tra le mie carte, che mi torni in mente, nascosto nelle note di una canzone, nascosto nelle pieghe delle pagine di qualche tuo ammiratore.
Che di ammiratori, Carlo, ne hai sempre avuti tanti e avute tante, con quei tuoi modi affascini tutti, affabulatore come sei, e faccio fatica a scorgere la tua vera essenza quando chiunque mi parla di te, poeti e spazzini, genitori, televisione e professori.
Io ci ho provato, a conoscerti, in una primavera dove ti ho timidamente portato con me ovunque, ti ho mostrato questa città che conosci per come è ora, ora che la lingua che ricordi non risuona quasi più nelle orecchie di quasi nessuno.
Ti ho presentato agli amici nel chiostro, e qualcuno ha avuto anche il coraggio di deriderti, ma io lo so, Carletto, che fan così per invidia, perchè si denigra ciò che non si può avere, ciò che non si capisce.
A me di denigrarti non mi è venuta mai voglia, anche quando volevo comprenderti, e mi sedevo lì di fronte a te, per ricevere soltanto fiumi di parole, fulminanti a volte, altre forse evasivi, che mi stordivano, mi ubriacavano e mi facevano perdere il filo.
Poi sai com'è, la vita va avanti, e tu pensi che non puoi passare tutto il tuo tempo a scavare nelle pieghe dei discorsi di un uomo ironico e intelligente, ma distante, come fumoso.
Io lo so che mi capisci, Carletto.
E' per questo che ti scrivo, perchè mi manchi, perchè voglio la mia verità, perchè voglio capirti.
Perchè la prossima volta che sentirò parlare di te, voglio già trovarmi sulle labbra quel sorriso affettuoso di chi richiama nella sua memoria una immagine buffa e gentile, una figura dai contorni netti, voglio poterti chiamare per nome con tutti, ora.
Quindi senti, facciamo che ci si riprova, facciamo che ci si rivede.
Lo so che stare sul tram con me, sulle mie gambe, quando il sole batteva i suoi raggi obliqui sulle tue pagine ti è piaciuto parecchio.
Di pasticciacci brutti ne faccio fin troppi, so che potrei starti simpatica.
Rivediamoci, dai, secondo me prima o poi, ingraniamo.
E vuoi mai, potremmo non lasciarci più.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Spero che i tuoi, di pasticci, non siano come quelli di via merulana. lo spero vivamente.

i'C

Anonimo ha detto...

Ecco lo sapevo...non solo la musica ma anche i libri. Rain, ti do un consiglio: leggilo come se ascoltassi musica, concentrati sulle emozioni e sulle sensazioni, non tanto sul filo logico del libro che tanto si prende e si lascia esattamente come quello della vita (e non è un caso, secondo me). Ti regalo questa citazione che era sul mio blog (cerca la voce aforismi :) ):

Chi è certo di aver ragione a forza, nemmeno dubita di aver torto in diritto. Chi si riconosce genio, e faro alle genti, non sospetta di essere moccolo male moribondo, o quadrupede ciuco.

ciao Rain!

morgania ha detto...

Anch'io sono membro ufficiale del club di quelli che hanno provato a leggere Gadda (Cognizione e Pasticciaccio) ma si sono arresi sentendosi degli imbecilli. Sono con te nelle tua lotta!